Nella presente manifestazione di pensiero, ho ritenuto opportuno formulare qualche considerazione in merito al cattivo uso delle cc.dd. “riservate personali” che le cc.dd “Gerarchie” sovente indirizzano ai militari (gerarchicamente) amministrati quale manifestazione cartolare espressione tipica dell’esercizio della c.d. “azione di comando” ma che spesso si traducono in vessazioni e danni alla carriera dei militari. Ho cercato di affrontare il problema, attingendo a lavori pregressi frutto di studi e approfondimenti effettuati da colleghi della rappresentanza dell’Arma dei Carabinieri, a cui va il mio ringraziamento e le espressioni di gratitudine e di alta considerazione.
Ma partiamo dall’origine sperando che il lettore possa cogliere ulteriori spunti di riflessione sull’attuale stato di salute del Comparto Sicurezza – Difesa e sugli effetti prodotti nei confronti dei dipendenti specie delle categorie sottufficiali e militari di truppa.
Iniziamo da un punto ritenuto, da molti, di svolta sulla democratizzazione delle Forze Armate: l’articolo 1 della legge 382/1978 (Norme di principio sulla disciplina militare e istituzione della Rappresentanza Militare).
La disciplina militare è stata definita, in dottrina, come il complesso delle norme che regolano lo status militare e, di conseguenza, i rapporti tra militari, con particolare riguardo al principio della subordinazione gerarchica ai doveri ed alle misure atte a stimolarne e garantirne l’osservanza.
La definizione giuridica viene fornita dall’art. 1346 del D. Lgs. 15/03/2010, n. 66 (c.d. Codice dell’ordinamento militare), secondo cui “la disciplina del militare è l’osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle Forze armate e alle esigenze che ne derivano”.
Essa è regola fondamentale per i cittadini alle armi in quanto costituisce il principale fattore di coesione e di efficienza.
A ben vedere, però, la nozione di disciplina militare può essere ritenuta ancor più vasta in considerazione del fatto che essa sarebbe caratterizzata per la sua essenza di regola di vita, ovvero di regole e mezzi idonei a formare l’ habitus mentale necessario ad osservare i propri doveri con responsabile consapevolezza.
Taluni superiori, Ufficiali comandanti di reparti ai vari livelli, nel richiamare i proprio dipendenti, anche per lievi mancanze, sono soliti ricorrere, in maniera frequente e indiscriminata, alla c.d. “Riservata Personale”; tale, consolidata, prassi, giustificata in virtù di una semplice opera di sensibilizzazione e ammaestramento del personale “fine a se stessa”, in realtà, nel tempo, disvela il suo vero volto apparendo per quello che è ossia una vera e propria sanzione disciplinare che riverbera i propri, nocivi, effetti in sede di valutazione caratteristica.
Vale la pena di ricordare che la normativa di riferimento, tuttora vigente, ossia il D.lgs. 66/2010 (“Codice dell’Ordinamento Militare”) non si limita solo a non prevederla quale forma di sanzione disciplinare non inserendola nell’elenco delle tipologie di sanzioni disciplinari di Corpo infliggibili (art. 1358) ma la vieta esplicitamente: l’art. 1353, recante rubrica “tassatività delle sanzioni” stabilisce, infatti, che non possano “essere inflitte sanzioni disciplinari diverse da quelle previste” dall’art.1358 (e dall’art. 1357 in tema di “sanzioni disciplinari di stato”).
La “riservata personale”, così come formulata, non offre alcuna forma di garanzia per il ricevente riguardo all’ipotetico diritto di difesa o alla predisposizione di memorie e/o controdeduzioni, caratterizzandosi, pertanto, per la irrimediabilmente compromissione di ogni sorta di tutela a garanzia del, costituzionalmente garantito, diritto di difesa.
E’ oramai prassi consolidata che le “Riservate Personali” vengano formate con il solo ed unico scopo di precostituire prova, pretesto e motivo di successivo ridimensionamento “in peius” della valutazione caratteristica, nonché di contestazioni disciplinari e, addirittura, di trasferimenti.
Il Consiglio di Stato (III^ Sez.) con parere nr. 1975 del 26 febbraio 2002 ha stabilito che “la riservata personale”: – non costituisce sanzione disciplinare; – rappresenta una mera “esortazione per iscritto ad un più diligente e corretto assolvimento dei propri compiti“; – “rientra nell’ambito dell’esercizio dell’azione di comando e governo del personale“. In concreto, al contrario di quanto disposto, le riservate personali vengono, invece, puntualmente ed indebitamente protocollate (a volte, addirittura, anche in imbarazzanti “registri” istituiti in violazione del Codice dell’Amministrazione Digitale e/o del D.P.R. 445/2000) nel carteggio ordinario e istruite come veri e propri procedimenti disciplinari.
E’ accaduto che queste fantomatiche “riservate personali” venissero inviate, per conoscenza, al comandante dei militari destinatari, in palese violazione delle vigenti disposizioni.
Vengono formalizzate, in nome della manifesta rilevazione “dell’insofferenza relazionale” principio degno della biblioteca di Don Ferrante di manzoniana memoria, al solo ed unico scopo di precostituire prova, pretesto e motivo di successivo ridimensionamento “in peius” della valutazione caratteristica.
Sono vagliate alla pari delle sanzioni dettate dall’art. 1358 del COM, quando, paradossalmente, ad esempio, il successivo art. 1359, nel disciplinare la sanzione del richiamo, stabilisce che esso altro non é che un ammonimento con cui sono punite lievi mancanze oppure omissioni causate da negligenza che non può dar luogo ad alcuna trascrizione nella documentazione personale dell’interessato nè a particolari forme di comunicazione scritta o pubblicazione [comma prudentemente modificato dal legislatore nell’art. 4, comma 1), n.1, D.lgs 24 febbraio 2012, n.20].
Ne deriva, volendo fare un esempio meramente scolastico, che se un comandante decidesse di “marchiare” la carriera di un militare non gradito che non goda della sua simpatia [magari perché non è mai stato al minuto mantenimento, non fuma ecc., emerge per preparazione culturale e dirittura morale oppure perché si permette anche (“vile marrano!”) di produrre istanze per far valere i suoi diritti suoi ed altrui] possa ordinare un “codice rosso” caricando le armi dell’ancien regime oligarchico-militare con le munizioni della “riservata personale”, tanto silenziose quanto letali.
La capacità venefica delle “riservate personali” è inversamente proporzionale alla illibatezza disciplinare.
Posto che la “riservata personale” non si presenta, almeno dal punto di vista formale, come una vera e propria contestazione disciplinare e che in ragione della sua natura apparentemente non afflittiva e che, in ragione di ciò, non è neanche esercire i diritti di difesa proponendo, ad esempio, ricorso.
Nel denegato caso in cui il militare volesse esercitare quei pochi diritti messi ancora a disposizione e dovesse replicare per chiarire le proprie ragioni tanto da dimostrare l’infondatezza degli addebiti e la corretta applicazione delle disposizioni potrebbe incorrere nel reato di “lesa maestà”.
In tal caso si può passare alla fase due ovvero:
- interpretare il tutto senza tener conto delle controdeduzioni formulate. In un sistema serio e democratico tale comportamento sarebbe censurabile perché andrebbe a ledere i diritti costituzionalmente riconosciuti a tutti i cittadini anche a quelli con le stellette;
- “allungare il brodo” con un ulteriore riservata a distanza di mesi giusto per un “refresh”, ma, nel 2016, se il militare continua a difendersi, non soccombendo, facendo un accesso agli atti si potrebbe, addirittura, dimostrare, oltre alla non veridicità, in alcuni casi, la malafede e l’infondatezza degli assunti, finanche il pregiudizio nei confronti del militare “attenzionato”, specie se quest’ultimo ha anche un ottimo curriculum e ricevuto riconoscimenti e distinzioni onorifiche anche dalle Alte cariche dello Stato (“ma come si permette questo maresciallo o questo appuntato ad essere premiato dal Prefetto X o dal Ministro Y senza il preventivo assenso delle onnipresenti Gerarchie?”, “E’ inammissibile che questo maresciallo o questo appuntato sia professionalmente preparato più di un appartenente alle Gerarchie: è un sovversivo! Questo è un atto di terrorismo! Ecco cosa farò: lo richiamerò all’ordine con una riservata personale”)
- come il lupo all’agnello trovare qualche altro pretesto, per giustificare il proprio operato magari confortato da pareri acquisiti confidenzialmente secondo prassi consolidate e assolutamente incodificabili;
- farsi diagnosticare, successivamente, l’essere affetto dalla c.d. sindrome di Shopenhauer ovvero attaccare o denigrare gratuitamente qualcuno per far prevalere la forza dei “leoni” sulla ragione, dipingendo davanti al sovrano di turno il solito quadro di Picasso, giusto per non rimarcare il valore dei quadri di autori levantini richiesti per una questione di deontologia;
- demansionare e trasferire il militare per poi abbassargli la valutazione caratteristica, alla luce degli elementi (infondati e aleatori) e impiegarlo magari davanti a qualche risma di carta che non protesta e qualche fotocopiatore all’avanguardia per contrabbandare la punizione ingiusta per premiale;
- schierare tutti i giannizzeri e sprecare risorse per costruire un teorema e mettere in atto un dispositivo corporativo teso alla difesa ad oltranza dell’illegalità nelle istituzioni fenomeno molto diffuso perdendo di vista ogni obiettività e interesse pubblico;
- far sì, con stratagemmi, apparentemente inquadrabili in azioni di comando tesi a distruggere il lavoro prodotto, con dei format che cambiano repentinamente al fine di costringere lo stesso a prendere posizioni estreme, ovvero facendo in modo che il suo sangue non invecchi costringendo ad…… emigrare in America per non morire a Palermo.
In tutto questo contesto, poi, si potrebbero avallare abusi o omissioni, derivanti da fattori endogeni e stressogeni a danno dei militari, normalmente sanzionabili, commessi dagli altri attori in scena, ma quelli, si sa, agendo sotto copertura, vanno sempre elogiati per non disattendere il copione scritto e avallato dal produttore che vuole imitare il regista americano Rob Reiner nel film “Codice d’onore”.
Ma in Italia il codice d’onore è ben altra cosa: nella nostra tradizione mediterranea, levantina e bizantina/5, infatti, molti dirigenti possono prendersi il lusso di disapplicare le norme in vigore secondo solo un loro libero convincimento o vincolo pupillare in barba ai principi di eguaglianza, universalità, giustizia, ma di sola mera appartenenza di ceto in luogo dell’interesse pubblico ed il bene giuridico da tutelare.
Ad aiutarli, per rimanere nella goliardia, ed in un dispositivo corporativo teso alla difesa dell’illegalità è l’autoindulgenza, una applicazione estensiva dell’art. 131 bis c.p., per le violazioni, anche omissive, commesse da ufficiali, e, nello specifico, i casi derivanti da perdita di documenti, scritture di servizio o limitazioni di diritti sindacali (vedi Corpo Forestale) e danni erariali per mancate corresponsioni di generi alimentari, riconosciuti con successivi ricorsi. Il sultano, a propria discrezionalità, potrà disapplicare le norme del C.O.M. senza appello, ricorrendo al metodo “Marchese del Grillo” di un noto film di Alberto Sordi, o se preferite il sindaco La Qualunque quando gli chiesero cosa avrebbe fatto per tutelare i diritti dei rappresentanti, dei poveri e dei bisognosi. Addirittura potrà cassare un’istanza senza farla pervenire al Comando Sovraordinato destinatario, classificando la procedura “anomala”, magari avvalorandola con presunti pareri verbali di chiara matrice di diritto anglosassone consuetudinario che, al momento, non sarebbero applicabili nel nostro ordinamento giuridico.
Ne deriva che, ingiustamente, al militare viene rovinata la carriera e non ci sta ravvedimento che possa tenere per riparare i danni all’onestà, al lavoro e alla lealtà alle istituzioni, in quanto non è a mio significante avviso diretto solo contro la persona, ma è un danno al principio che deve regolare il buon andamento della P.A.
La benemerita Arma dei Carabinieri, da sempre all’avanguardia e lungimirante, ha affrontato già da qualche anno la problematica tramite il proprio Co.Ce.R., ritenendo, come emerge dai lavori svolti all’epoca, “ allo stato, la “Riservata Personale” non ha più alcuna ragion d’essere, qualora si consideri che lo stesso Codice dell’Ordinamento Militare già disciplina una specifica sanzione disciplinare per lievi mancanze e omissioni causate da negligenza (ex art 1359 COM) irrogata in forma orale e non scritta. Il Consiglio Centrale di Rappresentanza ritiene che il ricorso alla “Riservata Personale” sia determinato, sostanzialmente, da una mancanza di conoscenza del proprio personale, eccessiva autorità, associate a forme di eccessivo orgoglio, vanità e mancanza di umiltà, che rende incapaci ogni forma di collaborazione e di comprendere i propri collaboratori. Inoltre sostiene che l’attuale uso indiscriminato e distorto di siffatta forma “sanzionatoria”, talvolta, anzi spesso, determina più nocumento che benefici, nonché ripercussioni dannose nei rapporti tra superiore e inferiore, anche a lunga scadenza di tempo. Il dare luogo ad uso indiscriminato della “riservata personale” e non il semplice “richiamo” verbale, in genere, registra in tutti i reparti un’accresciuta tendenza alla conflittualità regolata anche dal ricorso al giudice giurisdizionale, tanto da rendere vano il concetto secondo cui “Il comando e l’obbedienza sono concetti impersonali dei diritti e dei doveri del grado di cui il superiore é insignito”. La domanda è spontanea ma scontata anche la risposta: com’è andata a finire?
Il Comandante Generale dell’Arma, nel vagliare quanto rappresentato dall’organo di vertice della Rappresentanza militare, “proprio per privilegiare “il confronto immediato e diretto con i militari, per favorirne la più convinta e consapevole adesione al servizio” è intervenuto con una Circolare sull’azione di Comando e Governo del Personale, con la quale si ritiene necessario eliminare “ogni impropria prassi suscettibile di determinare equivoci interventi interpretativi”.
Come diceva il mio defunto padre “ricordati che ogni cosa nella vita va sempre misurata e affrontata con dignità”.
Non credete amici che tale “criticità” debba essere affrontata dagli addetti ai lavori, in modo obiettivo e democratico anche nelle altre Forze Armate e di Polizia ad ordinamento militare????
Anche perché allo stato attuale ci sono evidenti disparità di trattamento tra militari appartenenti ad altre forze armate o di polizia diverse dai carabinieri.
Vi invito a riflettere e vi ringrazio per l’attenzione.
Gaetano Ruocco